Cibo ed Emozioni


LA FAME EMOTIVA: QUANDO LE EMOZIONI SI TRASFORMANO IN CIBO




Per  Fame Emotiva, o Fame nervosa  o anche Mangiare emozionale ( Emotional Eating) intendiamo la pratica o abitudine  di mangiare sotto il controllo di un’emozione,  stato d’animo o segnale proveniente dall’ambiente e non  indotta dal  bisogno fisiologico del cibo. Quando questo comportamento diventa una pratica abituale, ne consegue che mangiamo in risposta ad un determinato stato emozionale, ad esempio la solitudine o la rabbia, e non perché abbiamo realmente bisogno di quei nutrienti.
Di solito la voglia di assumere alimenti  nel  mangiare emozionale assume carattere compulsivo ed è diretto verso scelte alimentari di scarsa qualità – cibi pronti, a portata di mano o “cibi spazzatura” . Gli esperti nutrizionisti mondiali ritengono che oltre il 75% delle calorie in eccesso nella popolazione derivano da comportamenti alimentari in risposta allo stress o disagi psicologici e solo il 25 %  da problemi genetici o fisiologici. Mangiare ha una potente azione antistress ed è il modo più immediato per sentirsi meglio  e compensare a bisogni emotivi insoddisfatti. È anche il modo più primordiale con cui compensiamo a qualcosa che manca e di cui non siamo consapevoli. I meccanismi di compensazione a livello cerebrale sono gli stessi circuiti della ricompensa che agiscono nelle forme di dipendenza ( da sostanza, da gioco d’azzardo o da internet), per cui la fame emozionale può essere considerata al pari delle altre una forma di dipendenza. 

 Utilizzare  il cibo alcune volte per quelle qualità gratificanti e piacevoli per il gusto e anche per la curiosità, o  anche come una ricompensa, oppure per festeggiare, non è  assolutamente una cosa negativa. Ma quando mangiare diventa il  principale meccanismo  per far fronte ad emozioni negative, quando il primo impulso è quello di aprire il frigorifero ogni volta che ci sente sconvolto, arrabbiato, solo, stressato, esausto, o annoiato, si rimane bloccati in un ciclo malsano in cui lo stato d’animo reale o il problema che innesca questo meccanismo non è mai affrontato.
La fame emotiva non può essere soddisfatta  con il cibo. Mangiare per compensare altri bisogni  può fare stare bene solo momentaneamente, ma i sentimenti che hanno innescato l’assunzione del cibo sono ancora lì. Spesso poi come conseguenza di tale comportamento, si innescano dei sensi di colpa  per le “calorie” inutili che si sono  introdotte, sentendosi peggio di prima. In questa situazione il cibo ed il mangiare diventano anche dal punto di vista terminologico svalutativi; il cibo diventa “schifezza”, o solo “calorie”, “ ho mangiato come un porco”, fino a “mi faccio schifo”. Tali atteggiamenti possono creare le basi per disturbi più gravi del comportamento alimentare, come la bulimia o l’anoressia. Ci si sente anche frustrati poiché si ritiene di  non avere più la forza di volontà di dominare gli impulsi. Ad aggravare il problema, c’è  che si rinuncia in modo dannoso ad assumere atteggiamenti alternativi e  più sani di vivere e ad  affrontare  le  proprie emozioni, sentendoci sempre più impotenti sia di fronte al cibo che ai propri stati d’animo.

Fame emotiva e fame fisiologica.  Come riconoscerle
E’ necessario, per poter attivare un processo di cambiamento rispetto al mangiare emozionale, distinguere tra la fame emotiva e fisica. Questo può essere più difficile di quanto sembri, soprattutto se è diventata abitudine associare alcuni alimenti in modo inconscio ai propri sentimenti. Sebbene lo stimolo della fame emozionale può essere alquanto forte, come per la fame “vera” fisiologica, ci sono degli elementi che ci permettono di distinguerle. La fame emotiva sopraggiunge improvvisamente.  Si presenta col bisogno urgente ed irrefrenabile di soddisfarla; la fame fisiologica al contrario viene in modo più graduale. La voglia di mangiare non si sente come qualcosa da soddisfare  immediatamente (a meno che non si abbia digiunato per un tempo molto lungo).
Nella fame emotiva si desiderano alimenti  specifici che danno un immediata gratificazione al gusto, ad esempio cioccolato. Quando si è fisicamente affamati, tutto può andare bene, tra cui cibi  sani dal punto di vista nutrizionale, come ad esempio le verdure. La fame emotiva richiede quasi sempre cibi grassi o spuntini zuccherati che forniscono una carica calorica immediata. Ci si sente  come se solo quel tipo di alimento possa soddisfare e nient'altro.
La fame emotiva spesso porta a mangiare senza consapevolezza rispetto a ciò che si è mangiato, ad esempio un intero sacchetto di patatine o una   vaschetta  intera di gelato senza realmente prestare attenzione, nè provando pieno piacere. Quando si sta mangiando in risposta alla fame fisica, si è in genere più consapevoli di ciò che si sta facendo.
La fame emotiva non è soddisfatta anche quando si ha la sensazione di pienezza. Si tende a volere sempre più cibo, fino a  sentirsi gonfi. La Fame fisica, invece, non comporta di mangiare fino all’eccesso, ma produce sensazioni di soddisfazione senza arrivare a doversi sentire necessariamente  gonfi.
La fame emotiva sembra non albergare nello stomaco, ma la si avverte come un desiderio che non si riesce a togliere dalla testa. La fame emotiva porta spesso a rimpiangere di aver mangiato, a provare  sensi di colpa o vergogna. Quando si mangia per soddisfare la fame fisica, è improbabile che ci si  senta in colpa o che si provi vergogna, perché si sta semplicemente dando al corpo ciò di cui ha bisogno. Se ci si sente in colpa dopo aver mangiato, è probabile perché si comprende che  in fondo  non si è mangiato per nutrirsi.

Le cause del mangiare emotivo. 


Esistono vari fattori e cause che concorrono a produrre questo comportamento alterato e che trasformano il cibo in una droga che serve a compensare la mancanza di qualcosa altro.

Cibo come antistress – Quando il livello di stress nell’organismo è alto si producono quantità maggiori di cortisolo, ormone che in eccesso provoca le reazioni tipiche degli stati ansiosi, di paura o di panico. Il cortisolo innesca il desiderio di cibi ricchi, salati, ad alto contenuto di grassi e zucchero che diano una “sferzata” di energia e di piacere. Più alto il livello di ansia più è probabile che si inneschi il comportamento del Mangiare emotivo.
Cibo come controllo delle emozioni sgradevoli - Mangiare può essere un modo per mettere a tacere temporaneamente emozioni scomode, tra cui rabbia, paura, tristezza, ansia,  solitudine, il risentimento e la vergogna. Se ci si sente  sommersi dal piacere del cibo, è possibile evitare le emozioni che è fastidioso  sentire.
Cibo come passatempo, per fronteggiare la noia o  sentimenti di vuoto. Alcune volte si mangia per  fare qualcosa, per alleviare la noia, o per riempire letteralmente un vuoto. Quando ci si sente insoddisfatti e vuoti,  il cibo diventa un modo per occupare la bocca e il  tempo, distraendo  dai sottostanti sentimenti di inutilità e di insoddisfazione per la vostra vita.
Accanto a questa utilizzazione del cibo come stratagemma immediato per far fronte ad emergenze psicologiche esistono poi le influenze derivanti dalle abitudini acquisite nell’ infanzia –come esempi possiamo ricordare i premi che si ricevono da bambini o già da neonati sotto forma di cibo: dal “seno per far smettere di piangere”, o i premi  in relazione a buoni comportamenti: dalla “caramella se fai il bravo”, o “un bel gelato se vai bene a scuola”. Queste abitudini infantili secondo la ricerca psicologica costituiscono le basi per il mangiare emotivo in età adulta. Oltre ciò esistono le influenze sociali – per cui mangiare insieme ad altre persone è un ottimo modo per alleviare lo stress, ma può anche portare a mangiare troppo. E'  facile eccedere, semplicemente perché il cibo è lì disponibile o perché tutti gli altri stanno mangiando. Si può anche mangiare troppo in situazioni di ansia sociale o perché si è incoraggiati dal gruppo che si frequenta. 
Pur quando non ci troviamo di fronte a un disturbo del comportamento alimentare, come ad esempio il Disturbo da Alimentazione Incontrollata che richiede l’urgenza di un trattamento medico e psicoterapeutico,  la fame nervosa comporta una serie di problematiche e conseguenze sia di ordine salutare che psicologiche :  aumento di peso, abitudini alimentari scorrette, ansia che si intensifica o si abbassa in relazione al mangiare, bassa autostima, , isolamento ( mangiare da soli o di nascosto)  e  depressione.

Trattamento della fase nervosa
La maggior parte delle diete falliscono perché alla base del sovrappeso spesso ci sono cause che affondono le loro radici negli aspetti psicologici. Per interrompere la dipendenza dal cibo bisogna assumere un nuovo atteggiamento verso di sé, che comporta  maggiore conoscenza e consapevolezza del proprio corpo, dei propri stati mentali ed emozionali. E’ importante comprendere i meccanismi attraverso i quali simbolicamente le emozioni si trasformano in cibo ed  incoraggiare comportamenti alimentari sani 
Il trattamento della fame nervosa deve includere la psicoterapia per aiutare gli individui  ad imparare nuovi metodi per far fronte allo stress, sentimenti ed emozioni sgradevoli, così pure , attraverso una educazione nutrizionale, dovrebbe  insegnare abitudini alimentari sane. Inoltre, per le persone che soffrono di obesità a causa del mangiare emotivo, la  perdita e il controllo del peso costituisce una parte importante del trattamento.
L’intervento psicoterapico potrà comprendere, per la gestione dello stress e dell’ansia di base, l’utilizzo di tecniche psico-corporee come il rilassamento o la bioenergetica, tecniche che lavorino specificamente sul riconoscimento e sulla espressività delle emozioni, l’ utilizzo di strategie di copyng alternative al mangiare compulsivo, risoluzione dei conflitti che spesso sono alla base delle emozioni irrisolte o congelate, che innescano la fame nervosa. Attualmente nella cura di questi disturbi si sta sempre maggiormente diffondendo un approccio integrato tra psicoterapeuta e nutrizionista che consente di ottenere migliori risultati e successi nel superamento della fame nervosa e nei problemi di sovrappeso, aiutando a migliorare il proprio rapporto col cibo e con se stessi.

Pasquale Rossi

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